Cervello ed emozioni

Quando proviamo un’emozione in relazione adun evento, l’organo
cerebrale che si attiva è l’amigdala, che ci consente di fare una
valutazione dell’evento stesso e della sua pericolosità, favorendo
l’attivazione di un’emozione piuttosto che un’altra. Facciamo
un esempio: se mi trovo di fronte ad un grosso animale selvatico di
sicuro l’amigdala mi invierà il messaggio di provare paura e di
mettere in atto un determinato comportamento, ad esempio quello di
fuggire. Se, invece, mi trovo di fronte ad un caro amico che non
vedevo da tanto tempo l’amigdala molto probabilmente mi invierà
un’emozione di gioia e questa mi porterà a comportarmi di
conseguenza, come ad esempio avvicinarmi alla persona per
abbracciarla.
Cos’è che mi permette di fare in modo che di fronte a nuove
situazioni simili a queste io possa provare emozioni simili? Questo
passaggio è possibile grazie al ruolo dell’ippocampo che, insieme
all’amigdala, costituisce il sistema limbico e che gioca un ruolo
decisivo nel tenere traccia delle emozioni nella memoria a lungo
termine.
Possiamo quindi dire che l’amigdala e l’ippocampo hanno un ruolo
fondamentale nei nostri processi di apprendimento: grazie a loro
impariamo a valutare la pericolosità di una certa situazione e la
immagazziniamo nei nostri ricordi in modo da poter essere
“preparati” nel caso in cui si ripresentasse un’evento simile;
entrambe queste strutture hanno acquisito, a livello evolutivo,
un’enorme importanza per la sopravvivenza.
La relazione tra memoria ed emozioni è molto forte nel nostro
cervello: tendiamo a ricordarci maggiormente eventi e situazioni
caratterizzati da una connotazione emotiva intensa.

“Attraverso l’apprendimento e la memoria possiamo acquisire
informazioni che ci permettono di prepararci a rispondere agli stimoli
minacciosi prima di subire un danno reale” (Kandel, 2005, trad. it.
2007, p.134).
Facciamo l’esempio della paura: questa emozione ha di per sé ha un
valore adattivo perché ci prepara ad un potenziale pericolo al quale
possiamo sostanzialmente rispondere con tre diverse modalità:
attaccando, fuggendo dalla situazione temuta, o immobilizzandoci
(paralisi, detto anche freezing o congelamento).
Tale emozione può diventare però disadattiva, e quindi disfunzionale,
se è troppo intensa o se si manifesta di fronte a eventi o situazioni
che sono di per sé neutre e quindi non rappresentano un pericolo
reale o potenziale (es. la vista di un insetto); in questo caso
possiamo trovarci di fronte stati di ansia o di panico. “Il panico è un
corpo estraneo, una sorta di inquilino prepotente che, una volta
dentro di noi, influenza le nostre azioni, i nostri comportamenti,
spingendoci ad accettare una vita rinunciataria. E questo condiziona
enormemente la nostra esistenza” (Sorrentino e Tani, 2008, p.13).
Stati d’ansia o di panico sono segnali importanti nella vita di una
persona in quanto sono indice di un disagio sottostante, è come se ci
dicessero: “fai attenzione, c’è qualcosa nella tua vita che non ti fa
stare bene, ti stai allontanando da quello/a che sei e da ciò che vuoi,
fermati e ascoltati”.

Bibliografia

Kandel E. R. (2005) Psychiatry, Psychoanalysis, and the New Biology of Mind,
Washington D.C. and London: Psychiatric Publishing, Inc. Trad. it. Psichiatria,
psicoanalisi e nuova biologia della mente, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2007.
Sorrentino R., & Tani C. (2008) Panico. Una “bugia” del cervello che può rovinarci la
vita, Milano, Arnoldo Mondadori Editore.

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