“E ANCORA UNA VOLTA,
ARTEMISIA FU SOLA.”
(ARTEMISIA, ANNA BANTI, 2015)

Un paio di anni fa, mi trovo ad iniziare un corso di formazione al Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti a Firenze. Penso di intraprendere uno studio ed un’analisi focalizzato su uomini (bene, io sono una donna) autori di violenza (io sono una pacifista). Si può iniziare.
Ad accoglierci, una domanda: “Che cos’è la violenza?”. Viene fatto un brainstorming e già si comprende la complessità del tema. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (1996) riporta la definizione di violenza come “uso intenzionale di forza fisica o di potere, minacciato o agito, contro se stesso, un’altra persona, o contro un gruppo o una comunità, che ha come conseguenza, o ha un’alta probabilità di avere come
conseguenza, il danno fisico, la morte, il danno psicologico, l’alterazione dello sviluppo, la deprivazione”.
Poco dopo, una riflessione: “Descrivi i tuoi comportamenti violenti”. Ognuno dei partecipanti comincia timidamente a scrivere, nero su bianco (per i più cauti, matita su carta riciclata)… svalutazioni, tentativi di controllo sull’altro…
Nessun foglio rimane del colore originario, i momenti prendono forma, lentamente, nelle espressioni malinconiche e dolorose di alcuni presenti.
Durante la formazione, viene dato ampio spazio al confronto, alla discussione, alla condivisione, se desiderata, di aspetti personali. Giungiamo al termine del corso e quel foglio iniziale, per ognuno dei professionisti presenti, si è ora fatto più ricco. Ricco di ciò che fino a poco prima si faceva fatica a considerare violenza, ricco di ulteriore comprensione della complessità dell’essere umano e, soprattutto, del pensiero che questa distinzione Noi/Loro non sia reale. Persone che agiscono violenza.
Noi e Loro… noi. Questo passaggio lo trovo necessario per intraprendere un percorso di cambiamento con l’uomo autore di violenza, in modo che ci sia quell’alleanza terapeutica importante per l’apertura di strade alternative, per la ricerca di parti di sé, di emozioni, fondamentali all’interruzione del comportamento violento. L’obiettivo è quello. Fare in modo che donne, bambini, altri uomini, che vivono ed hanno vissuto condizioni di terrore, possano sentirsi al sicuro, protette/i.
La rabbia nei confronti dell’autore di violenza, per le atrocità fisiche e psicologiche, è presente ed emotivamente profonda per il trauma subito; empatizzare con la vittima fa parte del sano compito di proteggere chi subisce, è un comportamento
sociale fondamentale.
È possibile trasformare questa rabbia in energia e speranza nel cambiamento? Trasformarla in interventi psico-educativi e psicoterapeutici specifici?
Trovo che, ancor più di una possibilità, sia un compito. Il compito degli operatori che desiderano poter fornire supporto e strumenti per il cambiamento all’uomo autore di violenza, con l’obiettivo di contrastarla, a protezione delle vittime e per l’opportunità di riprendere in mano la propria vita, anche per la stessa persona che ha agito comportamenti violenti.
Tale lavoro è molto importante, dal momento che molte donne non si separano dai compagni che agiscono violenza, aiutare l’uomo significa anche aiutare la donna; impegnarsi ad intervenire dove la violenza sembra essere per l’uomo, anche
inconsapevolmente, l’unica scelta possibile (in tutti quei casi nei quali non vi è una patologia psichiatrica), responsabilizzare l’uomo con un percorso specifico, accompagnarlo nel costruire alternative a quel comportamento violento.
In queste riflessioni, si fa riferimento a differenze di genere. Il titolo, legato al genere femminile, è in connessione diretta con il suo compagno opposto, l’uomo autore di violenza. In tale relazione, è importante parlare di ruoli di genere: la violenza psicologica e fisica è strettamente connotata culturalmente e, per questo, dura da sradicare.
In tale ottica, gli stessi uomini ne sono schiavi, più o meno inconsapevoli, in una spirale di frustrazione, inadeguatezza, incapacità di gestione e di riconoscimento delle emozioni, desiderio di prevaricazione, bisogno estremo di controllo, violenza. Le aspettative sociali sui ruoli di genere stanno passo passo trovando dei validi contraddittori, gli stereotipi vengono denudati, ma ancora non del tutto visti. È faticoso per l’essere umano, immerso nella Cultura co-costruita più di Achille nelle acque del fiume Stige. Prima di tutto, questi modelli di genere (come dovrebbe essere un uomo e come una donna secondo canoni prestabiliti) vanno individuati,
poi messi in discussione ed abbattuti.
L’Assemblea generale delle Nazioni Unite (1993) definisce violenza contro le donne “qualsiasi atto di violenza di genere che comporta, o è probabile che comporti, una sofferenza fisica, sessuale o psicologica o una qualsiasi forma di sofferenza alla donna, comprese le minacce di tali violenze, forme di coercizione o forme arbitrarie di privazione della libertà personale sia che si verifichino nel contesto della vita privata che di quella pubblica”. Per iniziare il trattamento l’uomo deve impegnarsi a
non agire comportamenti violenti. La partner viene contattata telefonicamente in modo da assicurarsi dell’aderenza al trattamento da parte del compagno e, se necessario perché in pericolo, messa in sicurezza e sostenuta psicologicamente, anche grazie all’importante lavoro di Associazioni e Centri Antiviolenza.
La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica è stata approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 2011 a Istanbul.
Il trattato si propone di prevenire la violenza, favorire la protezione delle vittime ed impedire l’impunità dei colpevoli.
Troppo spesso, le denunce fatte non assicurano reale protezione delle vittime e sentenze per i colpevoli; anche negli Istituti Penitenziari è possibile attuare interventi per il cambiamento dell’uomo maltrattante, una presa in carico in modo che diminuiscano le possibilità di reiterare il reato. Il tempo che intercorre tra il problema e la risoluzione è fatto di frustrazione, difficoltà, emozioni di ansia, di inefficacia che possono trasformarsi nella nascita di possibili tentativi risolutivi. Tale frustrazione data dall’incertezza non viene retta dall’uomo maltrattante e scatta l’agito violento. Diventa necessità e responsabilità sociale la promozione di interventi volti al cambiamento, in modo che l’uomo che agisce violenza crei uno spazio di pensiero tra l’emozione e l’azione. Il compito fondamentale è allenare la consapevolezza delle proprie azioni sull’altro, far mature l’empatia, l’intelligenza emotiva: In che modo esercito potere nella relazione?
Stimolare, attraverso specifici programmi e terapie, la dimensione riflessiva intesa come capacità di conoscere se stessi e attribuire agli altri stati mentali legati a sentimenti, credenze e aspettative (Fonagy, 1995). Spesso, con gravissime conseguenze, talvolta letali, sulle vittime, la rabbia è l’unica emozione che l’uomo si consente di sentire, senza avere accesso a ciò che sottende, alla paura, al senso di inefficacia. Comuni meccanismi difensivi pericolosi sono minimizzare, negare, attribuire la responsabilità alla vittima.
Questo non deve più accadere.
In questa riflessione sul possibile trattamento dell’uomo autore di violenza, viene toccata solo una parte di tale violenza, consapevoli della gravità e dell’esistenza della violenza di donne nei confronti di uomini e tra persone dello stesso sesso, e una minima parte di tutte le forme di violenza, discriminazioni, abusi, maltrattamenti, anche verso i minori.
Proviamo a ripartire dai bisogni emotivi degli esseri umani: il bisogno di riconoscimento, di essere amati, di appartenenza e di protezione.
“Sei una giovane battagliera…
armiamoci, sì.
Io di un pennello,
tu cosa impugnerai?”
Diventiamo pennelli,
tutti, uomini e donne.
Martina Nelly Sbrana
Riferimenti
Banti, A. (2015). Artemisia. Milano: SE.
Grifoni, G. (2016). L’uomo maltrattante. Dall’accoglienza all’intervento con l’autore di violenza domestica. Milano: Franco Angeli.
Muscialini, N., De Maglie, M. (2017). In dialogo. Riflessioni a quattro mani sulla violenza domestica. Città di Castello: Settenove.
Blanca Teatro, Laboratorio permanente
C.A.M. “Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti” (Firenze)
O.M.S. Organizzazione Mondiale della Sanità